Vi racconto monsù Ramela

Alcuni mesi fa, Matteo, direttore di un giornale locale, mi chiese chi era monsù Ramela. Questa è l’intervista integrale pubblicata.

Il Porta Zizzania, oltre ad essere una rubrica settimanale pubblicata sul bisettimanale Eco di Biella, è una collana di libri satirica. Edizioni Millimetri ha infatti deciso di raccogliere in alcuni volumi il meglio partorito negli ultimi anni dalla penna di Michele Porta. Tutto ruota ovviamente attorno alla figura del personaggio satirico Monsù Ramela, protagonista principale delle sue vignette.

Michele, come nasce il Porta Zizzania?
Come tutte le idee, è nata per caso al bar. Stavo bevendo un caffè quando ho notato due pensionati «curiosi» di fianco a me: sfogliavano la versione digitale di un giornale sull’iPad e commentavano le notizie in piemontese. O, meglio, in biellese. Vedevo che faticavano a esprimere gli stessi concetti in italiano, erano quasi imbarazzati, mentre in dialetto avevano una gran proprietà di linguaggio, parlavano perfino forbito. A quel punto, siccome sono un curioso di professione e devo sempre rompere i c…, mi sono intromesso dicendo «certo che comunque è sempre una bella particolarità il dialetto!». Mai l’avessi detto, uno dei due si è arrabbiato: «Il biellese non è un dialetto, ma una lingua. Non confondiamoci!». E lì mi è venuta l’idea di una rubrica fatta da un personaggio che commenta le notizie in dialetto – pardon, lingua – biellese.

Commentano notizie locali, ma non solo.
Certo. Monsù Ramela, non si limita solo ai fatti del territorio, ma commenta anche quelli nazionali ed esteri, magari poi collegandoli al piano locale. Quindi, ad esempio, se esce la notizia della morte dell’elefante di 89 anni in India, si ricordano di quando negli anni ‘70 il circo sfilava in via Italia e di quella volta che sull’elefante ci fece salire il figlio per 2mila lire.

Ha un’aria già vista da qualche parte… È frutto dell’immaginazione dell’autore o esiste davvero?
Guai a dire che non esiste. Esiste, ha parlato perfino con Babbo Natale, ma nessuno conoscerà mai la sua identità, perché preferisce rimanere nell’anonimato… Non vuole farsi scoprire, ma più di tutti sta impersonando il vecchio personaggio della Biella di una volta. E’ una figura mitologica, è il classico biellese doc, è della Biella borghese, ma non della Biella bene. Tuttavia ci tiene a essere sempre in ordine. Indossa rigorosamente cravattino, giacca e camicia e nello stesso tempo è quello che in qualche modo rispecchia tutti coloro che ancora oggi parlano quella lingua, che oggi in pochi conoscono davvero. I più spiccicano al massimo qualche parola e non hanno idea di come si scriva.
Da questo punto di vista anche il sottoscritto ha avuto qualche difficoltà: un conto è fare una battuta in piemontese, un altro è riportarla correttamente per iscritto. Grazie ad Andrea Di Stefano, che peraltro ha scritto anche un libro sulla grammatica biellese. L’ho contattato e si è reso disponibile a correggere le frasi in dialetto. Perché grammatica e sintassi sono molto complicate. È pieno di dieresi, apostrofi e accenti… Paradossalmente è veramente una lingua, improvvisando si si rischia di fare brutte figure.

Monsù Ramela sembra non tirarsi indietro nemmeno quando c’è da dare consigli.
Come ogni buon pensionato biellese, ha le sue idee, ma è aperto a quelle degli altri. Così può succedere che, parlando dei Mondiali in Qatar, monsù Ramela dia un consiglio a un arabo e viceversa. Poi, a modo suo, prova a tradurre il significato in piemontese. Parlando con lo sceicco, ad esempio, ci spiega: «A l’ha dime che a suggerirgli di investire nel calcio è stato Shahine: ël camel andvin ch’a-j ciapa tute ij vire». E da lì arriva poi lo spunto per passare al piano locale, per ricordare i bei tempi della Biellese in serie A. Diventa una sorta di parodia, un viaggio pieno di sfumature, aneddoti, proverbi… Un’occasione per tirar fuori cose che la gente non ricorda più.

Poi ovviamente c’è il capitolo politica locale, protagonista nove volte su dieci. Ai tempi dei social, le critiche sono sempre urlate. E quelle del monsù Ramela?
Mai. Lui è un signore, anche quando critica politici o personaggi pubblici lo fa in modo educato, signorile e puntiglioso, mai andando sopra le righe. Se prende in giro qualcuno, non usa mai modi scurrili. Se l’assessore manda tutti a quel paese platealmente, dimenticando il microfono acceso, lui traduce «ma andè tucc a pijevlo a Ciavasa!». Perché comunque ha imparato che nella vita c’è sempre un modo educato per mandare a quel paese qualcuno.

Quindi non se la prende mai?
Al contrario, se la prende più degli altri il Ramela, ma ha un’altra tempra e un’altra storia. Avendo vissuto gli anni in cui si usciva dalla guerra, era uno che si rimboccava le maniche e andava a lavorare in fabbrica, ma aveva sempre la sua dignità. Quando andava nella vigna, metteva sempre il papillon, non usciva dai suoi canoni. Si mangiava rigorosamente a mezzogiorno e alle sei di sera e guai se i figli tardavano. Guai se ci si alzava senza aver finito tutto. Era un uomo tutto d’un pezzo, il monsù, che rispecchia quello che è stato il grande valore di questo territorio. Anche la famosa vasca in via Italia si faceva vestiti in modo elegante. Oggi magari fa sorridere, ma ieri era un momento importante, perché fare la vasca il sabato era come partire per una sorta di piccolo viaggio. Si salutavano le persone, si stringevano amicizie. Oggi è sparito tutto, a quanto pare sono sufficienti telefoni e social.

M.